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S. Filippo Neri, sacerdote e fondatore (1515-1595)


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San Filippo Neri
Sacerdote, fondatore :
“Congregazione dei Fratelli dell’Oratorio”
Nacque a Firenze da ricca famiglia nel 1515. Ebbe un carattere singolarmente mite, così da essere chiamato Pippo Buono.

Studiata umanità, per poter farsi sacerdote rinunziò all’eredità dello zio e partì per Roma, ove fu accolto da un suo concittadino. Visse in questa famiglia vita illibata e mortificata, cautissimo nello stringere amicizie. Il demonio gli suscitava violenti moti della carne, che egli vinceva coll’orazione e coi digiuni, fin che il Signore in premio di tanta lotta gli concesse la grazia di esserne per sempre immune.

Finiti gli studi e fatto sacerdote, si diede con tutte le forze alla propria santificazione.

Favorito della più sublime contemplazione, le ineffabili dolcezze spirituali lo facevano esclamare: « Basta, Signore, basta! perchè questo mio cuore è sì piccolo per amare Voi così amabile! ».

Amava molto i poveri ed era di continuo a contatto con il popolo; visitava gli ammalati nelle loro case e negli ospedali, e li serviva di giorno e di notte. Però prediligeva i giovani, e la sua stanza era divenuta il loro ritrovo gradito. La sua parola era ricca di facezie e comunicava agli astanti l’allegria santa che traboccava dal suo cuore: i suoi detti ai giovani sono passati alla posterità come proverbi di grande sapienza.

Nella celebrazione della santa Messa era spesso rapito in dolci estasi, sollevato in aria e circonfuso da ogni parte di luce celestiale: un angelo in carne!

Al confessionale passava le intere giornate ed era tanta la sua abilità che non andava a lui peccatore, per ostinato che fosse, senza rimettersi sulla retta via; taluni appunto lo evitavano per non avere a convertirsi!

Il Signore lo visitò anche con prove e contrarietà gravissime: fino allo scherno sopra le sue opere di bene, fino alla calunnia più vile, fino alla ribellione di qualcuno dei suoi confratelli; prove che egli vinceva colla dolcezza e colla confidenza filiale in Dio.

A S. Maria della Vallicella fondò la Congregazione dell’Oratorio che di tanto aiuto fu ed è alla Chiesa nell’educazione della gioventù.

Filippo, semplice ed umile, rifuggì sempre gli onori e dignità ecclesiastiche, più volte offertegli. E Dio lo favorì col dono della profezia, dei miracoli e con frequenti visioni.

Morì il 26 maggio del 1595, in età di anni 80. I medici gli trovarono due costole adiacenti al cuore inarcate a causa dei violenti battiti di amor di Dio.

PRATICA. « Paradiso! Paradiso! Attendete a vincervi nelle piccole cose, se volete vincervi nelle grandi » (S. Filippo Neri)

Madonna Ausiliatrice 24 maggio


“Auxilium Christianorum”; ‘Aiuto dei Cristiani’, è il bel titolo che è stato dato alla Vergine Maria in ogni tempo e così viene invocata anche nelle litanie a Lei dedicate dette anche Lauretane perché recitate inizialmente a Loreto.
Sulle virtù, la vita, la predestinazione, la maternità, la mediazione, l’intercessione, la verginità, l’immacolato concepimento, i dolori sofferti, l’assunzione di Maria, sono stati scritti migliaia di volumi, tenuti vari Concili, proclamati dogmi di fede, al punto che è sorta un’autentica scienza teologica: la Mariologia.
E sempre è stata ribadita la presenza mediatrice e soccorritrice della Madonna per chi la invoca, a lei fummo affidati come figli da Gesù sulla Croce e a noi umanità è stata indicata come madre, nella persona di Giovanni apostolo, anch’egli ai piedi della Croce.
Ma la grande occasione dell’utilizzo ufficiale del titolo “Auxilium Christianorum” si ebbe con l’invocazione del grande papa mariano e domenicano san Pio V (1566-1572), che le affidò le armate ed i destini dell’Occidente e della Cristianità, minacciati da secoli dai turchi arrivati fino a Vienna, e che nella grande battaglia navale di Lepanto (1571) affrontarono e vinsero la flotta musulmana.
Il papa istituì per questa gloriosa e definitiva vittoria, la festa del S. Rosario, ma la riconoscente invocazione alla celeste Protettrice come “Auxilium Christianorum”, non sembra doversi attribuire direttamente al papa, come venne poi detto, ma ai reduci vittoriosi che ritornando dalla battaglia, passarono per Loreto a ringraziare la Madonna; lo stendardo della flotta invece, fu inviato nella chiesa dedicata a Maria a Gaeta dove è ancora conservato.
Il grido di gioia del popolo cristiano si perpetuò in questa invocazione; il Senato veneziano fece scrivere sotto il grande quadro commemorativo della battaglia di Lepanto, nel Palazzo Ducale: “Né potenza, né armi, né condottieri ci hanno condotto alla vittoria, ma Maria del Rosario” e così a fianco agli antichi titoli di ‘Consolatrix afflictorum’ (Consolatrice degli afflitti) e ‘Refugium peccatorum’ (Rifugio dei peccatori), si aggiunse per il popolo e per la Chiesa ‘Auxilium Christianorum (Aiuto dei cristiani).
Il culto pur continuando nei secoli successivi, ebbe degli alti e bassi, finché nell’Ottocento due grandi figure della santità cattolica, per strade diverse, ravvivarono la devozione per la Madonna del Rosario con il beato Bartolo Longo a Pompei e per la Madonna Ausiliatrice con s. Giovanni Bosco a Torino.
Il grande educatore ed innovatore torinese, pose la sua opera di sacerdote e fondatore sin dall’inizio, sotto la protezione e l’aiuto di Maria Ausiliatrice, a cui si rivolgeva per ogni necessità, specie quando le cose andavano per le lunghe e s’ingarbugliavano; a Lei diceva: “E allora incominciamo a fare qualcosa?”. S. Giovanni Bosco, nato il 16 agosto 1815 presso Castelnuovo d’Asti e ordinato sacerdote nel 1841, fu il più grande devoto e propagatore del culto a Maria Ausiliatrice, la cui festa era stata istituita sotto questo titolo e posta al 24 maggio, qualche decennio prima, dal papa Pio VII il 24 maggio 1815, in ringraziamento a Maria per la sua liberazione dalla ormai quinquennale prigionia napoleonica.
Il grande sacerdote, apostolo della gioventù, fece erigere in soli tre anni nel 1868, la basilica di Maria Ausiliatrice nella cittadella salesiana di Valdocco – Torino; sotto la Sua materna protezione pose gli Istituti religiosi da lui fondati e ormai sparsi in tutto il mondo: la Congregazione di S. Francesco di Sales, sacerdoti chiamati normalmente ‘Salesiani di don Bosco’; le ‘Figlie di Maria Ausiliatrice’ suore fondate con la collaborazione di s. Maria Domenica Mazzarello e per ultimi i ‘Cooperatori Salesiani’ per laici e sacerdoti che intendono vivere lo spirito di ‘Don Bosco’, come è generalmente chiamato.
Le Congregazioni sono così numerose, che si vede con gratitudine la benevola protezione di Maria Ausiliatrice nella diffusione di tante opere assistenziali ed a favore della gioventù.
Ormai la Madonna Ausiliatrice è divenuta la ‘Madonna di Don Bosco’ essa è inscindibile dalla grande Famiglia Salesiana, che ha dato alla Chiesa una schiera di santi, beati, venerabili e servi di Dio; tutti figli che si sono affidati all’aiuto della più dolce e potente delle madri.
Interi Continenti e Nazioni hanno Maria Ausiliatrice come celeste Patrona: l’Australia cattolica dal 1844, la Cina dal 1924, l’Argentina dal 1949, la Polonia fin dai primi decenni del 1800, diffusissima e antica è la devozione nei Paesi dell’Est Europeo.
Nella bella basilica torinese a Lei intitolata, dove il suo devoto figlio s. Giovanni Bosco e altre figure sante salesiane sono tumulate, vi è il bellissimo e maestoso quadro, fatto eseguire dallo stesso fondatore, che rappresenta la Madonna Ausiliatrice che con lo scettro del comando e con il Bambino in braccio, è circondata dagli Apostoli ed Evangelisti ed è sospesa su una nuvola, sullo sfondo a terra,images (2) il Santuario e l’Oratorio come appariva nel 1868, anno dell’esecuzione dell’opera del pittore Tommaso Lorenzone.
Il significato dell’intero quadro è chiarissimo; come Maria era presente insieme agli apostoli a Gerusalemme durante la Pentecoste, quindi all’inizio dell’attività della Chiesa, così ancora Lei sta a protezione e guida della Chiesa nei secoli, gli apostoli rappresentano il papa ed i vescovi.
Maria è la “Madre della Chiesa”; Ausiliatrice del popolo cristiano nella sua continua lotta per la diffusione del Regno di Dio.

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San Bernardino


Per ascoltare le prediche efficacissime di questo frate francescano di fine Medioevo, si radunavano folle di fedeli nelle piazze delle città, non potendoli contenere le chiese; e mancando allora mezzi tecnici di amplificazione della voce, venivano issati i palchi da cui parlava, studiando con banderuole la direzione del vento, per poterli così posizionare in modo favorevole all’ascolto dalle folle attente e silenziose.

Origini e formazione
San Bernardino nacque l’8 settembre 1380 a Massa Marittima (Grosseto) da Albertollo degli Albizzeschi e da Raniera degli Avveduti; il padre nobile senese era governatore della città fortificata posta sulle colline della Maremma.
A sei anni divenne orfano dei genitori, per cui crebbe allevato da parenti, prima dalla zia materna che lo tenne con sé fino agli undici anni, poi a Siena a casa dello zio paterno, ma fino all’età adulta furono soprattutto le donne della famiglia ad educarlo, come la cugina Tobia terziaria francescana e la zia Bartolomea terziaria domenicana.
Ricevette un’ottima educazione cristiana ma senza bigottismo, crebbe sano, con un carattere schietto e deciso, amante della libertà ma altrettanto conscio della propria responsabilità.
Studiò grammatica, retorica e lettura di Dante, dal 1396 al 1399 si applicò allo studio della Giurisprudenza nella Università di Siena, dove conseguì il dottorato in filosofia e diritto; non era propenso alla vita religiosa, tanto che alle letture bibliche preferiva la poesia profana.
Verso i 18 anni, pur seguitando a vivere come i coetanei, entrò nella Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, una compagnia di giovani flagellanti, che teneva riunioni a mezzanotte nei sotterranei del grande ospedale posto di fronte al celebre Duomo di Siena.
Aveva 20 anni quando Siena nel 1400 fu colpita dalla peste; e anche molti medici e infermieri dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, morirono contagiati, per cui il priore chiese pubblicamente aiuto.
Bernardino insieme ai compagni della Confraternita si offrì volontario, la sua opera nell’assistenza agli appestati durò per quattro mesi, fino all’inizio dell’inverno, quando la pestilenza cominciò a scemare.
Trascorsero poi altri quattro mesi, tra la vita e la morte, essendosi anch’egli contagiato; guarito assisté poi per un anno la zia Bartolomea diventata cieca e sorda.

In quel periodo cominciò a pensare seriamente di scegliere per la sua vita un Ordine religioso, colpito anche dall’ispirata parola di s. Vincenzo Ferrer, domenicano, incontrato ad Alessandria.
Alla fine scelse di entrare nell’Ordine Francescano e liberatosi di quanto possedeva, l’8 settembre 1402 entrò come novizio nel Convento di San Francesco a Siena; per completare il noviziato, fu mandato sulle pendici meridionali del Monte Amiata, al convento sopra Seggiano, un villaggio di poche capanne intorno ad una chiesetta, detto il Colombaio.
Il convento apparteneva alla Regola dell’Osservanza, sorta in seno al francescanesimo 33 anni prima, osservando appunto assoluta povertà e austerità, prescritte dal fondatore san Francesco; e con la loro moderazione, che li distingueva dagli Spirituali più combattivi nei decenni precedenti, gli Osservanti si opponevano al rilassamento dei Conventuali, con discrezione e senza eccessi.
Frate Bernardino visse al Colombaio per tre anni, facendo la professione religiosa nel 1403 e diventando sacerdote nel 1404, celebrò la prima Messa e tenne la prima predica nella vicina Seggiano e come gli altri frati del piccolo convento, prese a girare scalzo per la questua nei dintorni. Nel 1405 fu nominato predicatore dal Vicario dell’Ordine e tornò a Siena.  Dopo un po’, da Siena andò con qualche compagno nel piccolo romitorio di Sant’Onofrio sul colle della Capriola di fronte alla città; da tempo questo conventino era abitato da frati dell’Osservanza, qui fra’ Bernardino volle costruire un nuovo convento più grande, esso apparteneva all’Ospedale della Scala ed egli riuscì ad ottenerlo in dono, ma giacché i Frati Minori non potevano accettare donazioni, si impegnò a versare in cambio una libbra di cera all’anno.
Aveva circa 25 anni e restò alla Capriola per 12 anni, dedicandosi allo studio dei grandi dottori e teologi specie francescani; raccogliendo e studiando materiale ascetico, mistico e teologico.
In quel periodo, fu a contatto col mondo contadino ed artigiano delle cittadine dei dintorni, imparando a predicare per farsi comprendere da loro, con espressioni, immagini vivaci e aneddoti che colpissero l’attenzione di quella gente semplice, a cui affibbiava soprannomi nelle loro attività e stile popolano di vivere, per farli divertire; così la massaia disordinata era “madama Arrufola” e la giovane che ‘balestrava’ con occhiate languide i giovani dalla sua finestra, era “monna Finestraiola”.
Per una malattia alle corde vocali che per qualche anno lo colpì, rendendo la sua voce molto fioca, Bernardino da Siena, stava per chiedere di essere esonerato dalla predicazione. Ma inaspettatamente un giorno la voce ritornò non soltanto limpida, ma anche musicale e penetrante, ricca di modulazioni.
Sul colle della Capriola tornava spesso dopo i suoi lunghi viaggi di predicatore, per ritrovare li spirito di meditazione e per scrivere i “Sermoni latini”; formò molti discepoli fra i quali san Giacomo della Marca, san Giovanni da Capestrano, i beati Matteo da Agrigento, Michele Cercano, Bernardino da Feltre e Bernardino da l’Aquila.

Nel 1417 padre Bernardino da Siena fu nominato Vicario della provincia di Toscana e si trasferì a Fiesole, dando un forte impulso alla riforma in atto nell’Ordine Francescano.
Contemporaneamente iniziò la sua straordinaria predicazione per le città italiane, dove si verificava un grande afflusso di fedeli che faceva riempire le piazze; tutta la cittadinanza partecipava con le autorità in testa, e i fedeli affluivano anche dai paesi vicini per ascoltarlo.
Dal 1417 iniziò a Genova la sua prodigiosa predicazione apostolica, allargandola dopo i primi strepitosi successi, a tutta l’Italia del Nord e del Centro.
A Milano espose per la prima volta alla venerazione dei fedeli, la tavoletta con il trigramma; da Venezia a Belluno, a Ferrara, girando sempre a piedi, e per tutta la sua Toscana, dove ritornava spesso, predicò incessantemente; nel 1427 tenne nella sua Siena un ciclo di sermoni che ci sono pervenuti grazie alla fedele trascrizione di un ascoltatore, che li annotava a modo suo con velocità, senza perdere nemmeno una parola.
Da queste trascrizioni, si conosce il motivo dello straordinario successo che otteneva Bernardino; sceglieva argomenti che potevano interessare i fedeli di una città ed evitava le formulazioni astruse o troppo elaborate, tipiche dei predicatori scolastici dell’epoca. Per lui il “dire chiaro e breve” non andava disgiunto dal “dire bello”, e per farsi comprendere usava racconti, parabole, aneddoti; canzonando superstizioni, mode, vizi. 
Sapeva comprendere le debolezze umane, ma era intransigente con gli usurai, considerati da lui le creature più abbiette della terra. Le conversioni spesso clamorose, le riconciliazioni ai Sacramenti di peccatori incalliti, erano così numerosi, che spesso i sacerdoti erano insufficienti per le confessioni e per distribuire l’Eucaristia.
Quando le leggi che reggevano un Comune, una Signoria, una Repubblica, erano ingiuste e osservarle significava continuare l’ingiustizia, Bernardino da Siena, in questi casi dichiarava sciolti dal giuramento i pubblici ufficiali e invitava la città a darsi nuove leggi ispirate al vangelo; e le città facevano a gara per ascoltarlo e ne accettavano le direttive.

Il trigramma del Nome di Gesù

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Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico, la riassumeva nella devozione al Nome di Gesù e per questo inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle famiglie e delle varie corporazioni spesso in lotta tra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città per predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco (ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)”, il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato; il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti cioè i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini; la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede; l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H. 
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania: 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di San Paolo: “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.
Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù. 
Quindi la novità di s. Bernardino fu di offrire come oggetto di devozione le iniziali del nome di Gesù, attorniato da efficaci simbolismi, secondo il gusto dell’epoca, amante di stemmi, armi, simboli.
L’uso del trigramma, comunque gli procurò accuse di eresie e idolatria, specie dagli Agostiniani e Domenicani, e Bernardino da Siena subì ben tre processi, nel 1426, 1431, e 1438, dove il francescano poté dimostrare la sua limpida ortodossia, venendo ogni volta assolto con il favore speciale di papa Eugenio IV, che lo definì “il più illustre predicatore e il più irreprensibile maestro, fra tutti quelli che al presente evangelizzano i popoli in Italia e fuori”.

Riformatore dell’Ordine Francescano
Bernardino, che fin dal 1421 era Vicario dei Frati Osservanti di Toscana e Umbria, nel 1438 venne nominato dal Ministro Generale dell’Ordine Francescano, Vicario Generale di tutti i conventi dell’Osservanza in Italia.
Nella sua opera di riforma, portò il numero dei conventi da 20 a 200; proibì ai frati analfabeti o poco istruiti, di confessare e assolvere i penitenti; istituì nel convento di Monteripido presso Perugia, corsi di teologia scolastica e di diritto canonico; s’impegnò a fare rinascere lo spirito della Regola di s. Francesco, adattandola alle esigenze dei nuovi tempi.
Rifiutò per tre volte di essere vescovo di diocesi, che gli furono offerte.

Gli ultimi anni, la morte
Nel 1442, sentendosi oltremodo stanco, soffriva di renella, infiammazione ai reni, emorroidi e dissenteria, rassegnò le sue dimissioni dalla carica, che aveva accettato per spirito di servizio verso l’Ordine.
Nel fisico sembrava più vecchio dei suoi 62 anni, aveva perso tutti i denti, tranne uno e quindi le gote gli si erano incavate, ma quell’aspetto emaciato l’aveva già a 46 anni, quando posò per un quadro dal vivo, oggi conservato alla Pinacoteca di Siena.
Libero da responsabilità riprese a predicare, nonostante il cattivo stato di salute; i senesi gli chiesero di recarsi a Milano per rinsaldare l’alleanza con il duca Filippo Maria Visconti contro i fiorentini; da lì proseguì poi per il Veneto, predicando a Vicenza, Verona, Padova, Venezia, scendendo poi a Bologna e Firenze, nella natia Massa Marittima predicò nel 1444 per 40 giorni.
Ritornato a Siena si trattenne per poco tempo, perché voleva ancora compiere una missione di predicazione nel Regno di Napoli, dove non si era mai recato, con l’intenzione di predicare anche lungo il percorso; accompagnato da alcuni frati senesi, toccò il Trasimeno, Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto, Rieti, ma già in prossimità de L’Aquila, il suo fisico cedette allo sforzo e il 20 maggio 1444 fu portato in lettiga al convento di San Francesco, dentro la città, dove morì quel giorno stesso a 64 anni, posto sulla nuda terra come s. Francesco, dietro sua richiesta.
Dopo morto, il suo corpo esposto alla venerazione degli aquilani, grondò di sangue prodigiosamente e a tale fenomeno i rissosi abitanti in lotta fra loro, ritrovarono la via della pace.
I frati che l’accompagnavano, volevano riportare la salma a Siena, ma gli aquilani, accorsi in massa lo impedirono, concedendo solo gli indumenti indossati dal frate, oggi conservati nel convento della Capriola a Siena.
Nelle città dov’era vissuto, furono costruiti celebri oratori, chiese, mausolei, come quello di S. Bernardino nella omonima chiesa dell’Aquila, dove riposa.
Sei anni dopo la morte, il 24 maggio 1450, festa di Pentecoste, papa Niccolò V lo proclamò santo nella Basilica di S. Pietro a Roma. San Bernardino è compatrono di Siena, della nativa Massa Marittima, di Perugia e dell’Aquila. 
Una città in California porta il suo nome. È invocato contro le emorragie, la raucedine, le malattie polmonari. La sua festa si celebra il 20 maggio.

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Autore: Antonio Borrelli

 

Ascensione


Ascensione

La celebrazione dell’Ascensione cade nel giovedì  che segue la quinta domenica dopo Pasqua (40 giorni dopo Pasqua, il giorno di Pasqua e’ compreso nel conteggio dei 40 giorni), è quindi una festa mobile e in alcune nazioni cattoliche è festa di precetto riconosciuta a tutti gli effetti nel calendario civile.
In Italia l’Ascensione viene celebrata la domenica successiva al giovedì d’Ascensione.
L’Ascensione è una celebrazione che riveste grande importanza nella liturgia Cattolica perché segna la fine del soggiorno terreno di Gesù.
Se ne trova traccia nei Vangeli di Marco, Luca e negli Atti degli Apostoli: quaranta giorni dopo la Sua resurrezione il Signore ascese al Cielo dal Monte degli Ulivi, sotto gli occhi degli apostoli.
Nella liturgia dell’Ascensione, letto il vangelo della Messa solenne, si spegne e poi si leva il cero pasquale per rappresentare la dipartita di Cristo dagli Apostoli e dagli uomini.

San Mattia


❀ Rоѕa ❀

Mattia, abbreviazione del nome ebraico Mattatia, che significa dono di Jahvè, fu eletto al posto di Giuda, il traditore, per completare il numero simbolico dei dodici apostoli, raffigurante i dodici figli di Giacobbe e quindi le dodici tribù d’Israele. Secondo gli Atti apocrifi, egli sarebbe nato a Betlemme, da una illustre famiglia della tribù di Giuda. Una cosa è certa, perché affermata da S. Pietro (Atti, 1,21), che Mattia fu uno di quegli uomini che accompagnarono gli apostoli per tutti il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all’Ascensione al cielo. Non è improbabile che facesse parte dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, come agnelli fra i lupi, a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dov’egli stava per andare. S. Mattia conosceva certamente Giuda, nativo di Kariot, quello che nella lista dei Dodici…

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Beata Vergine Maria di Fatima


Dopo tre apparizioni di rilievo della Vergine Maria, verificatesi durante il XIX secolo, a La Salette nel 1846, a Lourdes nel 1858, a Castelpetroso nel 1888, la Madonna apparve nel 1917, la prima nel XX secolo, a Fatima in Portogallo.
In tutte queste apparizioni, come pure nel 1432 a Caravaggio e nel 1531 a Guadalupe in Messico, la Vergine si rivolse a ragazzi o giovani di umili condizioni sociali, per lo più dediti alla pastorizia; indicando così la sua predilezione per le anime semplici e innocenti, a cui affidare i suoi messaggi all’umanità peccatrice, invocandone il pentimento, esortandola alla preghiera, chiedendone la consacrazione al suo Cuore e la riparazione alle offese fatte al divin Figlio.
I luoghi – I veggenti
Fatima era allora un villaggio della zona centrale del Portogallo (Distretto di Santarém) sugli altipiani calcarei dell’Estremadura a 20 km a SE di Leìria, (il nome Fatima, prima degli avvenimenti delle apparizioni, era conosciuto esclusivamente come quello della figlia di Maometto, morta nel 633).
Ad un km e mezzo da Fatima, vi era una frazione chiamata Aljustrel e qui nacquero e vissero i tre protagonisti della storia di Fatima; Lucia Dos Santos nata nel 1907 e i suoi due cugini Francesco Marto nato nel 1908 e Giacinta Marto nata nel 1910; le due famiglie erano numerose, i Dos Santos avevano 5 figli ed i Marto 10 figli.
Come molti ragazzi del luogo, i tre cuginetti-amici, portavano a pascolare i piccoli greggi delle rispettive famiglie, verso i luoghi di pascolo dei dintorni ogni volta a loro scelta e con le pecore trascorrevano l’intera giornata; a mezzogiorno consumavano la colazione preparata dalle loro mamme e dopo recitavano il rosario.
Nel 1916 fra aprile ed ottobre, i tre ragazzi stupiti, furono testimoni di un fenomeno prodigioso; apparve loro un angelo sfavillante di luce, che si qualificò come l’Angelo della Pace e che li invitò alla preghiera; le apparizioni furono in tutto tre, due volte alla “Loca do Cabeço” e una volta al pozzo nell’orto della casa paterna. Queste apparizioni, narrate da Lucia, vengono classificate come ‘Il ciclo angelico’.
La prima apparizione, 13 maggio 1917
Era la domenica 13 maggio 1917; i tre cuginetti dopo aver assistito alla Santa Messa nella chiesa parrocchiale di Fatima, tornarono ad Aljustrel per prepararsi a condurre al pascolo le loro pecore.
Il tempo primaverile era splendido e quindi decisero di andare questa volta fino alla Cova da Iria, una grande radura a forma di anfiteatro, delimitata verso nord da una piccola altura.
Mentre allegri giocavano, nel cielo apparve un bagliore come lampi di fulmini, per cui preoccupati per un possibile temporale in arrivo, decisero di ridiscendere la collina per portare il gregge al riparo.
A metà strada dal pendio, vicino ad un leccio, la luce sfolgorò ancora e pochi passi più avanti videro una bella Signora vestita di bianco ritta sopra il leccio, era tutta luminosa, emanante una luce sfolgorante; si trovavano a poco più di un metro e i tre ragazzi rimasero stupiti a contemplarla; mentre per la prima volta la dolce Signora parlò rassicurandoli: “Non abbiate paura, non vi farò del male”.
Il suo vestito fatto di luce e bianco come la neve, aveva per cintura un cordone d’oro; un velo merlettato d’oro le copriva il capo e le spalle, scendendo fino ai piedi come un vestito; dalle sue dita portate sul petto in un atteggiamento di preghiera, penzolava il Rosario luccicante con una croce d’argento, sui piedi erano poggiate due rose.
A questo punto la più grande di loro, Lucia, chiese alla Signora “Da dove venite?” “Vengo dal Cielo” e Lucia “Dal cielo! E perché è venuta Lei fin qui?”, “Per chiedervi che veniate qui durante i prossimi sei mesi ogni giorno 13 a questa stessa ora; in seguito vi dirò chi sono e cosa desidero, ritornerò poi ancora qui una settima volta”.
E Lucia, “E anch’io andrò in cielo?”, “Si”, e “Giacinta?”, “anche lei”, “e Francesco?”, “anche lui, ma dovrà dire il suo rosario”.
La Vergine poi chiese: “Volete offrire a Dio tutte le sofferenze che Egli desidera mandarvi, in riparazione dei peccati dai quali Egli è offeso, e per domandare la conversione dei peccatori?”. “Si lo vogliamo” rispose Lucia, “Allora dovrete soffrire molto, ma la Grazia di Dio sarà il vostro conforto”.
E dopo avere raccomandato ai bambini di recitare il rosario tutti i giorni, per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra, la Signora cominciò ad elevarsi e sparì nel cielo.
Lucia durante tutte le apparizioni, sarà quella che converserà con la Signora, Giacinta la vedrà e udirà le sue parole ma senza parlarle, Francesco non l’udirà, ma la vedrà solamente, accettando di sapere dalle due bambine, quello che la Signora diceva.
La seconda e terza apparizione e le vicende dei tre veggenti
Al ritorno da Conca da Iria, Lucia raccomandò ai due piccoli cugini di non dire nulla a casa, ma Giacinta si lasciò sfuggire il segreto e da allora la loro vita quotidiana cambiò.
Si era in un tempo di affermazione di un diffuso materialismo, sia ideologico, sia politico, il cui maggior filone era il bolscevismo sovietico; inoltre il 5 maggio 1917, quindi otto giorni prima, papa Benedetto XV, visto il perdurare della sanguinosa Prima Guerra Mondiale, scoppiata nel 1914 in Europa, aveva invitato i cattolici di tutto il mondo ad unirsi in una crociata di preghiera, per ottenere la pace per intercessione della Madonna e l’apparizione di Fatima sembrò la risposta della Vergine a tale iniziativa.
Nell’alternarsi delle notizie e delle relative valutazioni, i tre ragazzi subirono sgridate, opposizioni, incredulità e prese in giro, prima dagli spaventati genitori, poi dalle autorità ecclesiastiche e politiche.
Comunque all’appuntamento del 13 giugno i tre veggenti non erano soli, già una sessantina di persone curiose l’avevano accompagnati.
Dopo aver recitato il rosario, la Signora apparve di nuovo, e fra l’altro raccomandò di recitare il rosario tutti i giorni, chiese a Lucia d’imparare a leggere e scrivere, per essere così in grado di trasmettere i suoi messaggi.
Rivelò le sofferenze del suo Cuore Immacolato per gli oltraggi subiti dai peccati dell’umanità; disse che Giacinta e Francesco sarebbero andati in cielo a breve, mentre Lucia sarebbe restata nel mondo per far conoscere e amare il suo Cuore Immacolato.
Il 13 luglio 1917, dopo avere affrontato ogni tipo di disprezzo e scherno da parte dei loro concittadini, Lucia, Francesco e Giacinta ritornarono alla Cova da Iria per il terzo incontro con la Signora, e questa volta erano in compagnia di più di duemila persone, desiderose di vedere i veggenti che dicevano di vedere la Signora.
Dopo la recita del rosario, ella apparve di nuovo e questa volta Lucia le chiese di dire chi era e di fare un miracolo affinché tutti potessero credere. La Signora assicurò: “Continuate a venir qui tutti i mesi: Ad ottobre dirò chi sono, quel che voglio, e farò un miracolo che tutti potranno vedere bene per credere”.
E in quest’occasione la Celeste Visione aprì le mani come le altre volte, da dove uscì un raggio di luce, che penetrò nella profondità della terra e per un attimo i tre veggenti ebbero la visione spaventosa dell’inferno o meglio dire della condanna delle anime peccatrici.
In questa terza importante apparizione, vi furono anche messaggi basilari, che la Signora trasmise ai veggenti con la consegna del silenzio e che Lucia svelerà per obbedienza nel 1941 le prime due parti, che riguardano “La salvezza delle anime” e “La devozione al Cuore Immacolato di Maria”, mentre la terza parte rimase avvolta nel mistero per 83 anni, solo ai Sommi Pontefici fu svelata, finché il ‘Terzo Segreto di Fatima’ non è stato rivelato dalla Chiesa nel 2000.
Ancora la Bianca Signora disse, che era necessario la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato e la comunione riparatrice dei primi sabati di cinque mesi, se si voleva la pace nel mondo; la guerra stava per finire ma un’altra peggiore poteva cominciare con fame, miseria e persecuzioni contro la Chiesa e il Papa.
Concluse dicendo: “Quando recitate il rosario, dite alla fine di ogni diecina: O Gesù mio, perdonate le nostre colpe; preservateci dal fuoco dell’inferno; portate in cielo tutte le anime e soccorrete specialmente le più bisognose della Vostra misericordia”.
La quarta e quinta apparizione
Il 13 di agosto 1917 non ci fu l’apparizione, nonostante che un gran numero di fedeli si fossero radunati alla Cova da Iria, perché i tre ragazzi furono impediti di andarci dal sindaco del paese, fortemente anticlericale, il quale con un inganno le aveva trasferiti da Aljustrel alla Casa Comunale di Fatima e poi visto che non volevano ritrattare nulla sulle apparizioni, né svelare eventuali trucchi, li fece mettere in prigione per intimorirli.
La domenica successiva 19 agosto, i tre ebbero la bella sorpresa di vedere la Madonna nel luogo chiamato Valinhos, Ella volle placare la loro angoscia per aver saltato l’appuntamento del 13 alla Cova.
In quest’occasione, la Vergine fra l’altro, chiese che fosse eretta una cappella sul luogo delle apparizioni con le offerte lasciate dai pellegrini.
Il 13 settembre la Signora apparve di nuovo ai tre pastorelli, che erano circondati da una folla di circa 30.000 persone; anche questa volta la Celeste Signora promise che il 13 ottobre avrebbe fatto un miracolo per tutti, poi sparì in un globo luminoso che partendo dal leccio si elevò verso il cielo.
Il giorno più importante, l’apparizione del 13 ottobre 1917
La notizia di un miracolo visibile a tutti, fece il giro del Portogallo; all’appuntamento di ottobre ci fu così una folla valutata sulle 70.000 persone provenienti da tutto il Paese, con giornalisti e fotografi della stampa nazionale ed internazionale inviati per registrare l’avvenimento.
Non mancavano fra loro gli scettici ed i beffardi, pronti ad assaporare la cocente delusione di quanti erano in preghiera, se non fosse avvenuto nulla. Il tempo da parte sua, non prometteva niente di buono, quel giorno era scuro e freddo, la pioggia cadde copiosamente, mentre la gran folla di pellegrini cercava di ripararsi alla meglio.
Anche questa volta, appena apparsa la Signora, Lucia domandò “Signora chi siete e cosa volete da me?”; e Lei subito rispose: “Io sono la Signora del Rosario; voglio una cappella costruita qui in mio omaggio; che continuino a recitare il rosario tutti i giorni. La guerra finirà e i soldati torneranno presto alle loro case; gli uomini non devono offendere il Signore che è già troppo offeso”.
La Vergine a questo punto aprì di nuovo le mani e lanciò un raggio di luce in direzione del sole e mentre Lei si elevava verso il cielo, i tre veggenti poterono così vedere accanto al sole i tre membri della Sacra Famiglia, Gesù Bambino, S. Giuseppe e la Madonna; in pochi attimi ebbero anche la visione di un uomo adulto che benediceva il mondo e la Madonna che a Lucia parve essere la Madonna Addolorata, e infine una terza scena in cui vi era la Madonna del Carmelo con lo scapolare in mano.
Alla fine avvenne lo strepitoso prodigio del sole; riportiamo qui la descrizione fatta dal giornalista, libero pensatore Avelino d’Almeida, direttore del giornale di Lisbona “O Seculo”, presente al fenomeno e che pubblicò nell’edizione del mattino di lunedì 15 ottobre 1917.
“Abbiamo assistito ad uno spettacolo unico ed incredibile, per chi non era presente… il sole sembrava un disco d’argento opaco… non riscaldava, non offuscava. Si poteva dire che fosse un’eclissi. Si sentì allora un grido:
‘Miracolo, Miracolo!’. Di fronte agli occhi sbalorditi della gente, il cui atteggiamento ci riportava ai tempi Biblici, e che, pallidi di paura e con le teste scoperte, guardavano il cielo azzurro, il sole che tremava, che faceva movimenti rapidi, mai visti prima, estranei alle leggi cosmiche, il sole ‘cominciò a ballare’ come dicono i contadini…
C’era solo una cosa da fare, cioè che gli scienziati spiegassero con tutta la loro sapienz,a il fantastico ballo del sole che oggi, a Fatima, ha levato un ‘Osanna’ dal cuore dei fedeli e che, secondo testimoni affidabili, ha impressionato perfino i liberi pensatori ed altri senza convinzioni religiose, che sono venuti a questo luogo d’ora in poi celebre”.
Quando tutto ciò finì, gli abiti di tutti prima bagnati dall’insistente pioggia, erano perfettamente asciutti; alla Cova da Iria la Madonna era veramente apparsa e si era manifestata con un miracolo visto dai presenti stupiti e terrorizzati.
Il messaggio della Vergine – La conferma della Chiesa
I tre veggenti con la loro semplicità e tenacia, raccontarono la sollecitudine di questa tenera Mamma per le sorti dell’umanità, minacciata da diversi flagelli e che per impedirli occorreva: Penitenza – Recita del Rosario – Consacrazione al suo Cuore Immacolato, specie da parte di una Nazione europea potente ma travagliata dal materialismo – La costruzione di una Cappella in suo onore per trasformarla in meta di pellegrinaggi di poveri, sofferenti e penitenti
Naturalmente, per un lungo periodo la vicenda e il messaggio restarono nell’oblio e nel ristretto orizzonte di un semisconosciuto ambiente di poveri pastori e contadini.
Il 28 aprile 1919 si diede inizio alla costruzione della Cappellina delle Apparizioni; il 13 ottobre 1930 il vescovo di Leira dichiarò “degne di fede le visioni dei bambini alla Cova da Iria”, autorizzando il culto alla Madonna di Fatima; il 13 maggio 1931 l’episcopato portoghese, secondo il messaggio di Fatima, fece la prima consacrazione del Portogallo al Cuore Immacolato di Maria.
Il 31 ottobre 1942 papa Pio XII, in un radiomessaggio consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria e il 7 luglio 1952 consacrò a Maria i popoli della Russia, come aveva chiesto la Celeste Signora a Fatima.
L’avverarsi della minaccia con la Seconda Guerra Mondiale, fece ricordare ai cristiani il messaggio di Fatima; il 13 maggio 1946 con la presenza del legato pontificio, cardinale Benedetto Aloisi Masella, davanti ad una folla di ottocentomila pellegrini, ci fu l’incoronazione della statua della Vergine di Fatima.
I papi attraverso loro delegati, come fece Pio XII, o recandosi personalmente in pellegrinaggio, come fece Paolo VI il 13 maggio 1967, in occasione del 50° anniversario delle Apparizioni e Giovanni Paolo II il 13 maggio 1982, un anno esatto dopo l’attentato subito in Piazza S. Pietro, il cui proiettile è incastonato nella corona della statua in segno di riconoscenza, hanno additato Fatima come un faro che ancora oggi continua a gettare la sua luce, per richiamare il mondo disorientato verso l’unico porto di salvezza; Fatima dunque non vuole essere uno spauracchio per l’umanità, né un’occasione forte per gente morbosamente curiosa e assetata di catastrofi, vuole essere invece un invito alla speranza che nasce dalla certezza che Dio vuole il nostro bene ad ogni costo.
Il santuario mariano di Fatima è uno dei luoghi più venerati dal Cattolicesimo e in questo luogo, sacro per l’apparizione di Maria, papa Giovanni Paolo II volle recarsi di nuovo il 13 maggio 2000, per procedere alla beatificazione dei fratelli Marto, al termine della celebrazione il cardinale Segretario di Stato, Angelo Sodano diede lettura della comunicazione in lingua portoghese, sul terzo segreto di Fatima; ed appena un mese dopo, il 26 giugno 2000, il papa ne autorizzò la divulgazione pubblica da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, accompagnata da opportuno commento teologico del Prefetto, cardinale Joseph Ratzinger.
Il “Terzo segreto di Fatima”
Questa terza parte del messaggio ricevuto, fu messo per iscritto da suor Lucia, allora ancora suora di Santa Dorotea, il 3 gennaio 1944, il documento inviato in Vaticano, è stato letto da tutti i pontefici succedutisi e da pochissimi altri stretti collaboratori e conservato presso la Congregazione per la Dottrina della Fede.
L’intero messaggio della Vergine è stato a lungo oggetto di congetture ed esegesi da parte di teologi e studiosi, cattolici e non. Ma la terza parte, tenuta segreta dalla Chiesa, è stata quella che ha fatto credere a catastrofi, che avrebbero sconvolto la vita della Chiesa stessa, cosicché i pontefici preferirono non divulgarla, rimandando dopo la lettura, la busta sigillata alla suddetta Congregazione, dove è stata custodita sin dal 1957.
Riportiamo il testo di suor Lucia: “Dopo le due parti che ho già esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto, un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui; l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza!
E vedemmo una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un vescovo vestito di bianco ”abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”.
Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni.
Sotto i due bracci della Croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”. Tuy, 3-1-1944.
Si riporta uno stralcio della comunicazione letta il 13 maggio 2000 a Fatima, presente il papa:
“Tale testo costituisce una visione profetica paragonabile a quelle della Sacra Scrittura, che non descrivono in senso fotografico i dettagli degli avvenimenti futuri, ma sintetizzano e condensano su un medesimo sfondo fatti che si distendono nel tempo in una successione e in una durata non precisate. Di conseguenza la chiave di lettura del testo non può che essere di carattere simbolico.
La visione di Fatima riguarda soprattutto la lotta dei sistemi atei contro la Chiesa e i cristiani e descrive l’immane sofferenza dei testimoni della fede dell’ultimo secolo del secondo millennio. È una interminabile Via Crucis guidata dai Papi del ventesimo secolo.
Secondo l’interpretazione dei pastorelli, interpretazione confermata anche recentemente da suor Lucia, il “Vescovo vestito di bianco” che prega per tutti i fedeli è il Papa. Anch’egli, camminando faticosamente verso la Croce tra i cadaveri dei martirizzati (vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e numerosi laici) cade a terra come morto, sotto i colpi di arma da fuoco.
Dopo l’attentato del 13 maggio 1981, a Sua Santità apparve chiaro che era stata “una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola”, permettendo al “papa agonizzante” di fermarsi “sulla soglia della morte”. In occasione di un passaggio da Roma dell’allora vescovo di Leiria – Fatima, il papa decise di consegnargli la pallottola, che era rimasta nella jeep dopo l’attentato, perché fosse custodita nel Santuario.
Per iniziativa del vescovo essa fu poi incastonata nella corona della statua della Madonna di Fatima.
I successivi avvenimenti del 1989 hanno portato, sia in Unione Sovietica che in numerosi Paesi dell’Est, alla caduta del regime comunista che propugnava l’ateismo. Anche per questo il Sommo Pontefice ringrazia dal profondo del cuore la Vergine Santissima. Tuttavia, in altre parti del mondo gli attacchi contro la Chiesa e i cristiani, con il peso di sofferenza che portano con sé, non sono purtroppo cessati. Anche se le vicende a cui fa riferimento la terza parte del ‘segreto’ di Fatima sembrano ormai appartenenti al passato, la chiamata della Madonna alla conversione e alla penitenza, pronunciata all’inizio del ventesimo secolo, conserva ancora oggi una sua stimolante attualità…”
A conclusione si riportano alcuni stralci del commento teologico dell’allora Prefetto della Congregazione della Fede, card. Joseph Ratzinger: Nella relazione del Card. Ratzinger, si ribadisce che il Terzo Segreto non aggiunge nulla a quella che è la Rivelazione di Cristo.
“Si chiama ‘Rivelazione’, perché in essa Dio si è dato a conoscere progressivamente agli uomini, fino al punto di divenire egli stesso uomo, per attirare a sé e a sé riunire tutto quanto il mondo per mezzo del Figlio incarnato Gesù Cristo”
“In Cristo, Dio, ha detto tutto, cioè sé stesso, e pertanto la rivelazione si è conclusa con la realizzazione del mistero di Cristo, che ha trovato espressione nel Nuovo Testamento… La rivelazione privata (come i messaggi trasmessi dalla Madonna ai tre pastorelli di Fatima) è un aiuto per questa fede in Cristo”.
“La parola chiave di questo ‘Segreto’, è il triplice grido: ‘Penitenza, Penitenza, Penitenza!… A suor Lucia appariva sempre più chiaramente come lo scopo di tutte quante le apparizioni sia stato quello di far crescere sempre più nella fede, nella speranza e nella carità – tutto il resto intendeva portare solo a questo….”.
I tre veggenti dopo le apparizioni
Purtroppo, prima Francesco Marto, poi la sorellina Giacinta Marto, morirono prestissimo come aveva predetto la Vergine; ambedue vittime della terribile epidemia di febbri influenzali detta “la spagnola”, che desolò l’Europa negli anni 1917-20, con numerosissimi morti di tutte le età, in prosieguo alla catastrofe appena terminata della Prima Guerra Mondiale.
Francesco morì il 4 aprile 1919 nella sua casa di Aljustrel (Fatima) a quasi 11 anni, mentre Giacinta morì il 20 febbraio 1920 in un ospedale di Lisbona a quasi 10 anni.
Ambedue riposano nella grande Basilica della Vergine di Fatima e sono stati proclamati Beati il 13 maggio 2000 da papa Giovanni Paolo II.
Lucia Dos Santos invece proseguì la sua missione di veggente-confidente della Vergine e custode del suo messaggio al mondo; fu per anni Suora di Santa Dorotea e poi passò a 41 anni, come carmelitana scalza nel Carmelo di Coimbra; ritornò varie volte per brevi visite a Fatima sul luogo delle Apparizioni.
La sua vita fu lunghissima, è morta il 13 febbraio 2005 a 98 anni nel convento di Coimbra e dal 19 febbraio 2006, riposa accanto ai cuginetti i Beati Francesco e Giacinta Marto nella Basilica di Fatima .

Autore: Antonio Borrelli
 
 

nel 1981: Mehmet Ali Agca, un killer professionista, che si vantava di non avere mai fallito nell’esecuzione degli assassini a lui affidati, tenta di uccidere Papa Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro a Roma, ma non ci riesce.

Questi due avvenimenti sono stati tra loro connessi dallo stesso pontefice, che attribuì la sua salvezza ad un intervento della Madonna di Fatima, alla quale offrì la pallottola deviata in segno di gratitudine.